DAL POTERE AL PODERE

di Claudia Lavazza

Per questa edizione di Segni Particolari mi è stato suggerito di indagare sul “dietro le quinte” di Luca Bonechi. Ma come, mi sono chiesta, cosa ci sarà mai da sapere oltre a quello che è già di pubblico dominio? Luca è uno dei padri fondatori di ARI, lo conosciamo praticamente tutti e lo abbiamo visto spesso nella duplice versione ciclista-organizzatore… Però, pensandoci bene, chi può dire di sapere chi è Luca senza il caschetto e quali sono i suoi trascorsi lontani dal mondo a due ruote? Così gli ho chiesto di raccontarci quello che non sappiamo di lui. Ecco cosa ha scritto…

COME NASCE UNA VITA

Il babbo, ultimo di 11 figli di una famiglia contadina delle Crete senesi, provò a cambiar mestiere e, dotato di passione e creatività, aprì una sartoria a Castelnuovo Berardenga. Ogni giorno con la sua bici percorreva 20 chilometri di polverose strade per mettere le mani sul ferro da stiro a vapore tanto da sembrare un soffione di Larderello. La mamma aveva la fortuna di abitare non lontano dalla sua bottega e aiutava i fratelli all’officina meccanica dove ormai i motori soppiantavano le bici che ancora resistevano con fatica all’impetuoso miracolo economico. Così iniziò una storia ed il caso volle che nacqui e presto, appena conosciuta la parola, fui dotato di un bellissimo triciclo.

LA VITA DEI RAGAZZI DI UN TEMPO

Con gli amici del paese tirar due calci al pallone era d’obbligo ma il problema era che si calpestava sempre la solita erba del campo da gioco. Dotarsi di una bici, anche approssimativa, significava invece prendersi la libertà di conoscere nuove strade e nuovi luoghi, un campo da gioco ben più vasto ed invitante. Sfidarsi al gioco dei tappini con Nencini, Baldini e Anquetil, era un bel passatempo ma non bastava più. Era necessario mettersi nei panni di veri ciclisti; così nacque il “Giro della Berardenga”, una gara a tappe da affrontare con ogni bici disponibile. Fra tutte l’unica bicicletta invidiata era la mia: 2 rapporti ed un manubrio da corsa tanto da sembrare vera. Accadde però che, al termine della prima tappa, i genitori sequestrarono tutte le bici ad eccezione della mia griffata con il marchio Chevron la benzina che vendevano gli zii. Fu così che la seconda tappa a cronometro si svolse ricorrendo all’uso della sola bici rimasta. Purtroppo la grande sfida fu annullata e tornammo a giocare con i tappini lontani dai pericoli della strada.

LA VITA IN BANCA A MILANO E POI A FIRENZE

Milano degli anni dell’impiego in Banca d’Italia grondava di frenetico lavoro ed anche di tentazioni giovanili del tutto estranee al mondo della bici. Su tutto gravava il clima fattosi pesante per le stragi di piazza Fontana, di piazza della Loggia a Brescia e dell’Italicus. Dall’abitazione di Garbagnate Milanese a Milano ci pensavano le Ferrovie Nord a consegnarmi al luogo di lavoro per poi a riportarmi a casa. Di bici neanche l’ombra fino al trasferimento a Firenze dove un bel giorno, in forte crisi di astinenza, invece di prendere il treno per tornarmene alla casa di Pontassieve, acquistai una bella bici da corsa color viola e, vestito di tutto punto con cravatta a fiori, me ne tornai in famiglia destando non poco stupore. Il ghiaccio era rotto ed il Mugello divenne la mia meta preferita nei giorni di libertà dal lavoro.

LA VITA DA SINDACO

Come si può pensare di accettare un impegno da Sindaco avendo un buon lavoro e nessuna intenzione di lasciarlo? Difficile dirlo. L’amore per la politica, che pure in quel tempo aveva una qualche attrazione ed era possibile frequentarla considerandola uno strumento per cambiare il mondo in meglio? Forse, ma ancor di più valse l’affetto per il territorio ritrovato con il trasferimento a Siena e la voglia di mettersi a servizio di una comunità. E sono stati gli anni migliori per la mia formazione e peggiori per la mia accantonata passione per il pedale. Aveva ragione Sandro Pertini quando, in un emozionante incontro, mi ammonì amorevolmente con queste parole: “giovanotto, tu hai da fare molta strada, ma stai attento alle curve”. Il doppio impegno non consentiva divagazioni anche per gli impegni istituzionali corredati da continue “pensate” e idee che si trasformavano spesso in progetti. Tra questi la creazione delle “Città del Vino”, dei “Comuni dell’Ambiente” che per primi, nel lontano 1982 misero al bando la plastica ed iniziarono la raccolta differenziata. E fu in quel periodo che Toscana e Veneto, Castelnuovo e Cadoneghe, il Chianti ed il Prosecco, si unirono nel comune obiettivo di “far star bene l’ambiente” ma, diciamola tutta, far star bene anche noi stessi con scambi virtuosi delle squisite eccellenze enogastronomiche delle due regioni, tanto diverse quanto simili. E poi, per fortuna, qualcosa si stava muovendo anche nel campo della mobilità dolce con la nascita del “Parco Ciclistico del Chianti” precursore dell’Eroica.

LA DOPPIA VITA TRA I SANTUARI DEL POTERE E LE VIE DI FUGA CON LA BICI

Succede che nella vita ti prenda la voglia di provare il brivido di frequentare i “luoghi che contano”, pieni di ipotetica gloria ma anche molto perigliosi. E così che, prima da filantropo in Fondazione Monte dei Paschi di Siena e poi nelle vesti di “bieco immobiliarista” in Sansedoni, provai quanto fosse impegnativo, talvolta gratificante ma anche pericoloso, essere scelto per “comandare” tanto da farmi rimpiangere la quieta Banca d’Italia. Dall’essere omaggiato oltre di ogni reale merito a trovarsi impegnato, talvolta incompreso, a salvare il salvabile è un attimo. Grande però è stata la soddisfazione di esserne uscito a testa alta avendo portato in sicurezza aziende e persone che di quel lavoro vivevano e vivono anche oggi. Qualche amico mi diceva: “hai voluto la bicicletta? Allora pedala”. Ed è stata proprio la bici lo strumento di fuga dalla realtà, il mezzo con il quale poter evadere dai problemi e far prendere un po’ di aria alle idee che frullano nella testa. Franco Ballerini e Paolo Bettini erano di casa a Siena e con loro son nate l’Eroica e Strade Bianche, ormai divenuti grandi appuntamenti internazionali. Con loro e con Giancarlo Brocci scoprimmo la salutare fatica delle randonnée. Mi ricordo la grande umiltà dell’indimenticato Franco Ballerini che, presente al raduno della Nazionale ARI, ci diceva: “ma come fate a fare i 600 chilometri pedalando giorno e notte. Per me son troppi e per venire con voi bisogna che mi alleni”. La Bergamo-Roma-Bergamo del 2002 fu il mio battesimo, un azzardo di quelli che al termine ti fanno esclamare: “basta non la farò mai più” per poi, passato qualche giorno, contraddirsi ed iniziare a pensare alla successiva follia che non poteva che essere la mia prima Paris-Brest-Paris delle sei alle quali ho partecipato. Così sono riuscito a divertirmi pedalando per lunghe distanze e, con uno stratagemma pensato nelle lunghe notti in Normandia, ho dato un diverso valore al tempo ed all’età. Tempo ed età che per rendersi ancor più interessanti e vari furono riempiti dalla composizione di 10 poemi in ottava rima chiamati “Bruscelli”, tra i quali il “Girardengo”. Testi scritti e messi in scena in quegli anni quasi a dimostrare che non si vive di sol travaglio lavorativo e neppure di sola bici.

COME NELLA VITA SI PUO’ INGANNARE L’ETA’ CONVENZIONALE

L’età appunto, quello strano numero dato da una convenzione per la quale ogni 365 giorni bisogna festeggiare il compleanno. Ma dove stanno scritte le modalità di calcolo? Forse l’undicesimo comandamento prescrive di “non desiderare l’età di altri e conta la tua ogni 365 giorni?”. O forse esiste a riguardo una sconosciuta direttiva della bistrattata Unione Europea? Nel dubbio decisi di contare l’età in quadrienni, proprio ad ogni Paris-Brest-Paris, ed oggi mi ritrovo cinquantasettenne con l’età pensionabile ancora lontana nel tempo. La Madrid Gijon-Madrid, la 1001 Miglia sono solo alcune delle prove fatte per conoscere un mondo e me stesso e poi convincermi di mettermi alla prova anche dalla parte di chi organizza. È così che, come nelle vecchie botteghe artigiane, si impara il mestiere, misurandosi con una disciplina che ti vuol vedere pedalatore ma anche organizzatore, con la dovuta umiltà, mi misi a fianco del Gran Maestro che a quel tempo portava il nome di Fermo Rigamonti. Superato l’apprendistato, a Castelfranco Emilia, prima sede di ARI, nacque così una squadra di eccellenti e coese diversità che, per sette anni, mi scelse come Presidente. Ci mancava anche questa. Si può dire che sono stati anni belli e creativi nel corso dei quali il movimento è cresciuto molto gettando le basi per formare l’attuale ottima squadra guidata da Mino Repossini e da Giuseppe Gallina. Colpito da smisurata presunzione e con l’assillo di non essere ricordato nel bene mai abbastanza (nel male lascio ad ognuno piena libertà) metto, per memoria, la firma ad alcune invenzioni: la Nazionale Italiana, l’Italia del Grand Tour, la 999Miglia, la 6+6 Isole e Ajò, il progetto Sweet Road, la campagna sulla sicurezza “Strade da Vivere” e, per finire, la recente Francigena Bike Adventure. Anche il termine “Randagio” ed il motto “né forte, né piano ma sempre lontano” sono il frutto di pensate collettive in quel di Castelfranco Emilia. L’amico Fabio Bardelli mi ritiene colpevole anche di molte altre cose sulle quali preferisco sorvolare e non riconoscerle come appartenenti unicamente al mio repertorio.

PROVE DI ESISTENZA IN VITA: DAL POTERE AL PODERE

Capita che alla voglia di evasione dichiarata quotidianamente, la mia numerosa ed articolata famiglia, composta rigorosamente da tutte donne, mi prenda per braccio e mi porti in un meraviglioso bosco e mi dica, con tono amichevole ma molto fermo: “abbiamo deciso di vendere tutto e di trasferirci in questo antico podere. Così starai più a casa, avrai legna da tagliare, funghi da cercare, cinghiali e caprioli da convincere ad andare a votare; avrai, infine, sentieri da esplorare nei quali è impossibile viaggiare con quella pericolosa macchinetta che chiami velomobile e che può essere sostituita tranquillamente con un bel tagliaerba”. Dagli sguardi attorno compresi che non vi erano alternative e fui costretto a pensare agli aspetti positivi di un nuovo inizio, convincendomi che la maggioranza qualche volta può aver ragione. Si volta pagina e la vita cambia ancora, basta aggiungere al nome “Podere Casanova” il termine “SITO UNNESCO”. Si proprio la parola Unesco con un “n” rafforzativo ad indicare che da quel luogo sarà difficile uscirne ad eccezione dell’ancora lontano 2027 quando sarò chiamato ad una ennesima prova di esistenza in vita in quel di Parigi. Così è la vita, se vi pare.